30 settembre 2013

cronache da un nostro inviato in Libano


Padre Ireneo Strappazzon - della comunità ITSAD - è stato invitato in Libano dai confratelli conventuali per il 25° della fondazione della chiesa dedicata a Sant'Antonio di Padova a Beirut. Condivide con noi alcune memorie della significativa esperienza vissuta.

A Sin-El-Fil, per il 25° anni della chiesa “Saint-Antoine de Padoue”

Ero stato invitato a Beirut da fr. Roger per tenere la conferenza celebrativa del 25° anniversario della bellissima chiesa di Sant’Antonio di Padova di Sin-El-Fil, inaugurata e benedetta nel lontano 25 marzo del 1988. Per qualcuno, questo viaggio era un rischio: “Dove vai!, dicevano: tutta la regione è in guerra e i cristiani sono in fuga!” “Ma c’è laggiù della gente che soffre, aveva detto papa Benedetto, e se la situazione diventa più complicata, è ancor più necessario dare dei segni di fraternità, di incoraggiamento, di solidarietà.” Ed era vero! Bisognava vedere il volto raggiante di fra Massimiliano, mio vecchio compagno in Francia negli anni ’50, che mi accolse insieme con fra Feliciano all'aeroporto di Beirut. In convento, incontrai poi: fr. Roger, guardiano e parroco; fr. Jalil, testimone della storia del convento fin dai primi anni; fr Andrew, ancora studente ma esperto in decorazione foreale e animazione liturgico-musicale; fr. Dominique, che mi aveva introdotto nella situazione socio-religiosa del Libano e al culto locale di s. Antonio.

Il soggetto della conferenza era stato scelto in sintonia con l’Anno della Fede; lo citiamo in francese, lingua ufficiale dell’intervento: “Que cessent les paroles et que parlent les oeuvres” (cf. Sermone per la Domenica di Pentecoste). Non è forse il Santo una delle principali “Porte della Fede” per i cristiani del nostro tempo? Una Porta che non si accontenta di parole, ma invita a considera la fede innanzitutto come una persona, Gésù Cristo, Sapienza del Padre, Verbo fatto carne; 
- una fede centrata sull’amore, senza il quale è vuota; 
- una fede che si traduce in dolce sinfonia quando la vita concorda con la parola; 
- una fede che, nutrita nella contemplazione dei misteri di Cristo si traduce necessariamente in amore, consiglio per i fratelli poveri e bisognosi di aiuto.

L’argomento fu svolto la sera di martedì 11 giugno, nella sala parrocchiale polivante, davanti a un folto gruppo di religiosi, religiose e laici, amici della chiesa e desiderosi di ascoltare il messaggio di Sant’Antonio. Ancora prima però – era sul posto dal 6-7 giugno – avevo occupato il mio tempo ad auscultare la presenza di S. Antonio à Beirut e in Libano, ove è venerato con tante espressioni di fede spontanea e gestuale; invocato mediante molteplici oggetti di devozione: candele, olio benedetto, incenso, e tradotto in richeste di grazie di ogni genere e per ogni situazione umana e spirituale, attrerso el quali i fedeli raggiungono Cristo, celebrato in Eucaristie solenni e festose.  

Le celebrazioni giubilari comprendevano infatti una grande festa per i bambini, la sera del sabato 8 giugno; una messa solenne in  rito latino celebrata da Mgr Paul Dahdah, vicario apostolico dei Latini in Libano, la sera del 12 giugno e, il 13, festa del Santo, un  susseguirsi ininterrotto di pellegrini, venuti dai nuclei cristiani e non cristiani, vicini o lontani, con intensi momenti di preghiera, e culminante nella solenne concelebrazione della sera, conclusa  con la messa cantata in lingua araba e in rito maronita.

Ma un soggiorno in una Beirut ove i colori della pelle, le fazioni politiche, le tradizioni religiose e le culture si intrecciano e convivino da secoli, come la circolazione caotica della città, e in un Libano a rischio fra Israele al Sud e i paesi arabi del Nord e dell’Est, non poteva esaurirsi in sole celebrazioni. 

La sera del 7 giugno, la comunità Francescana conventuale di Zahlé, nella Valle della Bekaa, alle soglie di un Damasco infuocato, un novizio originario del paese riceveva l’abito francescano dalle mani di p. César, custode della Delegazione di Oriente e Terra Santa, e iniziava l’anno di noviziato. Più vicino a Beirut, sul pendio del Monte Libano, il santuario nazionale di Notre-Dame di Harissa, meritava una visita, oltre al fatto che da lassù, à 750 m sul mare, si spazia meravigliosamente sulla bellissima baia di Jounieh. E ancora più lontano, la Vallée Sainte, popolata da numerosi monasteri scavati nella roccia, rievocava la vita di tanti monaci e santi eremiti, ancor oggi venerati, mentre più a Nord, la “foresta dei cedri” ci faceva apparite minuscole creature tra tronchi secolari di 4 o 6  metri di diametro.

La nostra ultima visita, nel pomeriggio di domenica 16 giugno, fu per il convento di S. Antonio di Padova di Diebta, ove p. Tony Jabbour, dell’Ordine maronita Mariamita, espresse il desiderio di collegare ufficialmente il suo piccolo santuario et la comunità di accoglienza di cui è responsabile, con la basilica del Santo a Padova.

Fu dunque con il cuore ricolmo di ricordi meravigliosi, di amicizie e di fede sincera che abbiamo lasciato queste comunità cristiane del Libano, esposte a numerosi pericoli. E con fr. Roger, se Dio vuole, ci siamo detti: inchallah, “arrivederci”!   

Fr. Valentino Ireneo Strappazzon 

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